Descrizione
Sono legato a questo libro di David Wilson in modo quasi affettivo. Non solo per il fatto di averlo curato ma soprattutto per averne vissuto la genesi qualche anno fa in quel di Londra. Quando il lavoro di David era ben lontano da un progetto editoriale, e appariva più che altro come una nebulosa di provini di medio formato appesi alle pareti di una camera in affitto dalle parti di Leyton, nell’Est della capitale inglese. Un’area che conoscevo bene per averci vissuto molti anni prima e che ritrovavo descritta in modo formidabile in quella moltitudine di scatti. è in quelle giornate primaverili trascorse con David a discutere fino a tardi del suo lavoro sulla città moderna, e a passeggiare per i sobborghi, che abbiamo posto le basi per quel dialogo che ci ha portato fin qui.
Non è facile riassumere in poche parole un progetto di indagine che conta un ampio archivio al quale questo libro solo in parte rende giustizia. Dovendo riassumere il suo significato, posso dire che David, attraverso la fotografia, mette in discussione il paradigma della periferia come non luogo metropolitano. Egli volutamente si sofferma sulle pieghe del bordo orientale di Londra, e nel porsi al margine cerca di declinarne il significato, ma non viziato da un’attenzione vernacolare o da facili conclusioni, bensì trascinato dalla curiosità verso ciò che è umano.
Le persone catturate nello loro imprevedibili e semplici distrazioni, restituiscono vita e graziosità a quelle scenografie urbane spesso giudicate grigie e meno importanti. Il suo porsi al margine infatti lo è anche rispetto ai luoghi comuni di osservazione. Non a caso il libro si apre con una immagine, scattata da distante e da dietro un recinto, dell’area di Canary Wharf eretta a simbolo di una certa utopia speculativa, anche di pensiero. La sua piuttosto è una visione accidentale, libera da pregiudizi, e trae forza dalle collisioni minori, dagli istanti non pianificati.
La tensione che si libera dal rapporto non precostituito tra lo spazio e il suo abitante è il carburante che spinge avanti la narrazione. Ed è la stessa tensione che ha alimentato – come ci ricorda Paul Newland nella conversazione inclusa nel libro – diverse produzioni di cinema britannico che in queste zone hanno trovato terreno fertile per le loro storie.
Il libro si chiude con l’immagine di una stella cadente. Forse è quella poesia che l’autore ci invita a a raccogliere in ciascun luogo che abitiamo per non perderne la memoria.
Steve Bisson
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